Gli sarà passata tutta la vita davanti. Tutto quello fatto e
tutto quello che sperava e poteva ancora fare. E’ questo uno dei possibili
primi pensieri che vengono in mente quando ti diagnosticano l’ipotesi che hai
la sclerosi multipla, che poi se confermata genera lo sconforto lasciando in un
angolo la labile speranza di uscirne e tornare a come quando quel muro non ti è
mai caduto addosso. Ma la vita per lui aveva in serbo altro.
9 secondi circa rimangono sul cronometro prima della fine
della gara tra Mavericks e Cavaliers, Chris Wright appoggia un layup e sigla al
suo esordio coi Mavs due punti che sono un pezzo di storia.
Il sogno di una vita, l’arrivo al massimo grado di basket
professionistico dopo essere stati colpiti da questa malattia, quel layup è
semplicemente un fermo immagine storico con il quale Wright diviene un simbolo
per tutti. Il simbolo della lotta che paga, il simbolo della speranza che non
muore mai, il simbolo che la vita presenta tante sorprese (negative e positive)
che vanno affrontate cercando di reagire al meglio, cercando sempre di
migliorarsi ma anche di godere di quello che si ha. Una storia di sport, una
storia di vita.
Una vita cestistica costellata di ostacoli. Da grande
promessa alle scuole superiori guidando St. John’s College High School, arriva
a Georgetown e complici diversi infortuni non riesce mai ad incidere quanto
potrebbe, fino almeno alla stagione da senior dove fa rimarcare il suo nome
nella Big East. Al draft del 2011 comunque non ce la fa a farsi eleggere, la
somma di un fisico comunque non incredibile, il non aver brillato da stella assoluta
e comunque l’essere un senior, sono i fattori più importanti che non gli
concedono l’accesso alla NBA dalla porta principale.
Ma delle porte secondarie ci sono, basta provare ad aprirle
e vedere se ti conducono lo stesso al castello. Prova a vivere lo stesso di
basket, volando in Turchia, firmando per la squadra Olin Edirne. Ma è in questa
stagione che la sua vita cambia.
Durante un allenamento, accusa una serie di sintomi mai
provati prima tutti insieme e nella stessa notte tornano il dolore e l’intorpidimento
degli arti (accusati insieme ad altre problematiche) fatto che lo porta nei
giorni seguenti a visitare specialisti su specialisti. Stesso i medici del team
turco riconoscono la possibilità concreta che sia la sclerosi multipla ad
averlo colpito e una volta assicurata la certezza che era quella la causa del
suo malessere, la parola fine carriera è arrivata alle sue orecchie come una
zavorra.
Ma per sua stessa ammissione, Wright non ha mai pensato
fosse così. Da marzo a giugno i mesi dallo stento di camminare a ricominciare a
correre sono stati un calvario, ma già a luglio la sua forza d’animo unito ad
un fisico che lo ha sorretto aiutandolo nella ripresa, lo hanno riportato ad
allenarsi con costanza. Non c’era tempo per riuscire a convincere squadre NBA
nel pre camp, ma Iowa Energy in D-League lo ha accolto con piacere. Lì gioca
bene e quando arriva la chiamata dei Mavs guarda indietro nel suo passato e
ricorda il suo vissuto, etichettandolo come una bella storia, una storia che è
un insegnamento di come imparare a sognare senza perdersi d’animo dinanzi alle
difficoltà.
Cuban invece non guarda al suo passato, conosce bene la malattia
del ragazzo ma non per questo gli preclude qualcosa che merita, anzi, proprio
le sue capacità di reagire, di combattere, di essere ispirazione grazie alla
sua determinazione, sono delle caratteristiche in più, fondamentali per le
quali il ragazzo merita di unirsi al suo team. Magari sarà solo per questi 10
giorni, magari sarà per il resto della stagione, ma merita di stare lì. A
prescindere dal tifo, ognuno che conosce passato e presente di questo ragazzo
non ha potuto che esultare quando quel layup è scivolato lungo la retina del
canestro, scrivendo indelebile nella storia dello sport la parola vincente. Una
di quelle storie che rendono ancora più magico il mondo sportivo.
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