Vincere tante gare consecutive è frutto di una costanza di
rendimento di tutta la squadra, di un gioco di base che comunque sorregge le
giocate dei singoli, è frutto di buone scelte offensive e di un alchimia
trovata anche dall’altro lato del campo. Ma spesso e volentieri (quasi sempre a
dir la verità) per vincere tante gare c’è bisogno di una leadership che non
deve essere per forza del singolo ma che magari lo è. Un trascinatore, una
coppia di trascinatori, un trio di trascinatori che sospinge il gruppo. I
Knicks hanno il loro uomo simbolo, il loro accentratore di gioco, il go-to-guy
pronto a prendersi sempre il tiro, pronto a spezzare le difese a modo suo
uscendo dagli schemi o forse sarebbe meglio dire, improvvisando partenze da uno
contro uno dal palleggio con cambi di velocità, spalle a canestro o in
movimento. Spesso possono finire con un tiro in sospensione o con un’entrata,
ma a prescindere dall'esito, quei tiri hanno sempre spaccato l'opinione, se deve prenderseli visto che sa
metterli o se si dovrebbe costruire sempre al meglio l’attacco.
Questa è solo una delle tante divergenze che un giocatore,
una stella offensiva come Anthony, genera.
Quando fai 5 partite consecutive oltre i 35 punti con le
prime tre a 40 o più, è strano trovarsi dinanzi dei detrattori, perché quelle
partite la squadra le ha vinte. Ma il gioco di Carmelo divide, ha sempre diviso,
a prescindere dal fatto che quest’anno stia assolutamente portando ancor di più
il suo basket a livelli superiori.
In molti hanno affermato che quest’anno Anthony sia arrivato
alla consacrazione più assoluta (se ce ne fosse bisogno) a stella capace di
trascinare, perché vincere con la pressione che ti esercita sulle spalle la
“Grande Mela” è senz’altro una dimostrazione di potenza, ma chi invece non
gradisce il suo modo di interpretare il basket ne continua a sottolineare i
difetti. Di sicuro Carmelo è più maturo
ed ha cominciato ad essere più leader, costringendosi a meno isolamenti (per
dirne una) ma alcuni aspetti perfettibili nel suo gioco persistono.
Guardare il gioco non sempre di squadra dei Knicks con i
continui accentramenti nelle mani di Anthony, a chi ama la costruzione perfetta
del tiro, fa storcere il naso. Guardare la sua applicazione difensiva durante
tutto l’arco della gara in relazione alla concentrazione di quando ha palla in
mano, fa riflettere. Ma soprattutto c’è un fattore che più di tutti fa parlare.
Ma su una bilancia, quanto conta fare punti o cercare di servire la squadra
applicandosi più sul resto?
Questa domanda nasce da uno studio statistico che concentra
in un solo valore una serie di variabili ben studiate a tavolino, che
concorrono ed aiutano la squadra alla vittoria. Da questo studio è emerso che
Carmelo è il giocatore più sovra-pagato della Lega questo perché il suo apporto
offensivo è decisivo ma complessivamente ci sono giocatori che valgono almeno
quanto lui nella costruzione di queste W.
Ovviamente questo è uno studio numerico che tiene conto
anche delle piccole cose fatte in campo e non solo delle statistiche che tutti
a primo impatto osserviamo. Ne fuoriesce dunque un dato che spinge a ragionare.
Sono sempre numeri, ma a rimpolpare la tesi c’è la casistica degli assist di
media che Carmelo smista a partita. In più si tende a rammentare quel famoso
detto che recita che un tiro preso da soli è una possibilità in meno di far
segnare. Questo perché un assist sono due punti sicuri, i tiri sono aleatori,
come direbbe il nostro Bargnani “Sometimes go, sometimes don’t go”.
D’altra parte però, non si può non vedere palesemente che
Carmelo segna tanto perché si può permettere di tirare tanto. Sa costruirsi il
tiro, sa svariare in attacco, ha un arsenale vasto. In più, in linea teorica,
apre spazio ai compagni (anche se c’è chi dice che in uno contro uno sono i
compagni ad aprire gli spazi a lui e non viceversa) e poi le sue giocate
sospingono la squadra, costringendo anche la difesa ad adattarsi diversamente
con lui in campo.
E’ un leader, sa prendersi le responsabilità e sa aiutare a
rimbalzo. Il suo talento offensivo, le sue capacità spettacolari di inventarsi
il tiro hanno fatto innamorare in molti, non si arriva di certo a caso a
superare gente come James, Durant e Bryant nelle maglie vendute. E’ vero l’NBA Store
da cui provengono i dati è a New York ma questo è anche sinonimo di come lo
spettatore medio che ami l’NBA, ami anche e soprattutto l’aspetto specifico che
lo esalta, magari il punto di forza del giocatore. E già arrivare alla gente è
una vittoria, a prescindere che si veda Anthony come un campione assoluto o
come un campione però non all-around.
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