Ma ad aspettarlo sui campi "all'aperto" c'era Gary Payton, uno cresciuto nella cosiddetta "parte ruvida" della città, uno che di playground ne sapeva qualcosa, uno che "imparò" l'arte del trash talking e del gioco duro proprio giocando per la strada (su quei campetti c'erano tra gli altri anche Brian Shaw e un certo Demetrius Mitchell, ma questa è un' altra storia...).
E' proprio da qui che nasce la leggenda, la leggenda vivente di un play che ha imparato a ragionare, a difendere duro, a non ascoltare le provocazioni ma a farsi rispettare, anche perché sapeva rendere contenti tutti con il suo gioco a beneficio del prossimo.
Da quelli sessioni contro Payton, Kidd ne usciva per sua stessa ammissione praticamente prosciugato, sia fisicamente che mentalmente, ma se a quei tempi era uno stress, un'insopportabile routine, poi è diventato un punto di forza per la crescita del ragazzo. Payton stesso ammetterà di aver voluto inserire nella mente del giovane il "ghetto" regolando il nascente ego di un ragazzo che lo considererà un maestro, anche quando The Glove ammetterà di credere Kidd come un play migliore di lui.
"Kidd è un passatore, difensore, rimbalzista e un giocatore che io penso che in qualunque posto sia stato, lui tende a far degli altri giocatori migliori". Una frase quella che disse a suo tempo Rod Thorn, che riassume perfettamente l'essenza del giocatore che Jason Kidd è stato, un play puro, un all around che non ha mai costruito il suo essere fondamentale con l'attacco, ma con il suo "gioco". Perché se c'è un dettaglio che si può leggere tra le righe delle parole di Thorn e che vale la pena di sottolineare, è il completo controllo del gioco che Kidd ha sempre dimostrato. Quando la palla passava tra le sue mani, sapevi che era lui a dettare ritmi, cambiare velocità all'azione senza necessariamente accelerare il passo, era lui a leggere le situazioni e trarne vantaggio.
Con lui in campo un buon team diveniva ottimo perché giocava al massimo delle sue possibilità. Non era necessariamente il dominatore di statistiche, anche se le caselle erano spesso e volentieri riempite (non si arriva a fare 107 triple doppie in carriera se non accumuli numeri sostanziosi in campo), ma usciva spesso come il dominatore, l'MVP della gara, per l'impronta che portava sul parquet, facendo rendere al meglio ogni singolo compagno.
Lui è l'uomo che vede due passaggi avanti, che studia in un attimo la reazione della difesa e inventa un passaggio con angolazioni sconosciute ai più anche in NBA. Passaggi no look per il compagno in arrivo, che magari stesso dalla televisione non si pensa a quella linea di passaggio, capacità di cambiare in itinere la scelta dell'assist, volontà di alzare un alley oop o regalare due punti anche quando sei in campo aperto e l'appoggio te lo puoi anche riservare a te stesso. Ma il passaggio è solo il marchio di fabbrica, la copertina che presenta il giocatore, dietro c'è la voglia di essere tra i migliori difensori sulla palla, c'è la capacità di scegliere i momenti giusti per fare ogni cosa, dal rubare un pallone (altra specialità della casa) all'andare a posizionarsi per un rimbalzo, e fin "troppe" ne ha prese di carambole in relazione a ruolo e altezza.
Chiunque conosca e capisca di pallacanestro ne riconosceva l'assoluta capacità di creare del vero basket ed Ainge ne era portavoce di questo concetto, quando affermava che in qualunque momento si possa mettere le mani su uno come Kidd, è un dono. Cosa che si potrebbe anche estendere alla nazionale statunitense, che sebbene sia talmente forte da vincere praticamente sempre, con Kidd in campo "stranamente" non ha mai perso neanche una gara in ben 46 incontri disputati, con qualche oro a gradire che diciamo ne contornava i risultati.
Questo perché Kidd è sempre stato il "giostraio" che fa muovere il gioco, la stella che fa brillare le altre stelle, ma non di luce riflessa, questo mai, bensì ognuno di luce propria, casomai proprio cercando farle illuminare le altre più della sua.
Un giocatore capace di anteporre sempre e comunque la squadra al tornaconto personale, capace di stupire e far parlare di sè per il giocato, anche quando non smistava assist che dovevi vedere almeno due volte al replay per comprenderli.
Di sicuro, a meno di un plagio, non si parlerà più del suo bacio di routine prima di un libero, gesto che ha cambiato connotazioni nel corso della carriera e che fa storia a se.
Un simbolismo che ricorda che dietro il campione c'è un uomo, atto che fonde la vita privata al campo di gioco. Quando ci sono stati i primi seri problemi con la moglie, Jason ha cominciato a mandarle un simbolico bacio prima di tirare un libero, gesto che poi ha mantenuto come caratterizzazione, magari "evolvendosi" dopo il definitivo divorzio, con il bacio che veniva preceduto dallo sfiorarsi il didietro...
Non è stato un santo nella sua vita ma molte cose, come la perdita del padre in primis, lo hanno portato ad essere sempre migliore, riconosciuto anche in campo con l'NBA Sportmanship player of the year. Un premio che lo lega a Grant Hill ( insieme ad altre cose, vedi Una "carriera insieme": Grant Hill e Jason Kidd si ritirano ), un premio che ancora una volta fonde il privato con il campo di gioco, cosa ricorrente nella sua vita, esaltata dal fatto che spesso lo è visto sfoggiare ancor di più il suo meglio sul parquet nei momenti di difficoltà. Infatti come accennato la morte del padre fu un ulteriore spartiacque nella sua vita, l'evento che che gli ha insegnato come non bisogna buttare momenti preziosi perché ogni cosa può svanire in un istante e quindi bisogna impegnarsi per fare al meglio ciò che si vuole. L'ultimo insegnamento che gli è arrivato dal suo primo maestro, Steve Kidd, uno che ha sempre esortato il figlio alla pazienza, perché non tutte le cose che si vogliono le si ottengono subito (o magari non le si ottengono proprio).
E' stato il caso del titolo NBA che è arrivato salvifico solo a fine carriera, a coronamento del suo incredibile vissuto cestistico, arrivato nel secondo stint in quel di Dallas, in quei Mavericks che lo scelsero nel lontano draft del 1994. Forse un misero rimpianto di non aver conquistato tale trofeo anche nella "sua" New Jersey, dove è considerato il miglior giocatore che abbia mai indossato la casacca dei Nets.
Nella sua carriera comunque ha vinto tanto, sia nel personale che di squadra, ha affiancato il suo nome a quello di Magic e a quello di Stockton per il miglior play di sempre, ha iscritto Jason Kidd su tante tabelle di record, non ultimo quello di essere l'unico giocatore della storia a chiudere con almeno 15000 punti 7000 rimbalzi e 10000 assist. Di sicuro quel numero 5 non sarà stato ritirato solo dalla sua University of California (college che scelse per stare vicino alla famiglia), ma lo si vedrà ben presto appeso in alto nell'arena dei nuovi Brooklyn Nets, mentre il numero 2 (scelto perché il 5 ed il 32 non erano disponibili, comunque scelto in onore al numero di chiamata al draft), sicuramente avrà un posto di rilievo all' American Airlines Center (Dallas).
Tra gli elogi dei giocatori e le congratulazioni degli allenatori ("Un onore dire che io l'ho allenato" Woodson), Kidd scioglie il suo contratto coi Knicks, scelta ancora una volta che denota la sua intelligenza, nel conoscere anche i propri limiti.
Tutto questo in attesa di essere un first ballot Hall of Famer, proprio come lo è stato il suo "professor" sui playground.
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